Ratatouille, Cip e Ciop, Mikey Mouse, Basil l’investiga topo, Fievel il topolino viaggiatore, Alvin Simon e Theodor,Un topolino sotto sfratto ,Roddie (Topolino avventuriero e temerario di giu per il tubo),Bianca e Bernie, Ratso (Nome in codice:Brutto).Non dimentichiamo il mitico roditore ancestrale dell’Era Glaciale………e la sua inseparabile Nocciola………
Sono solo pochi nomi per ricordare quanto gli esseri umani siano affascinati dai piccoli furbastri pelosi.Ve li ricordate?
Torna più scatenato che mai il simpatico roditore dei vecchi cartoni di tanti anni fa, in una storia per i più piccini che negli Usa sta appassionando anche i grandi.
Magia di una nostalgia. Si spiega con la suggestione dei ricordi l’impresa di Alvin Superstar al botteghino natalizio statunitense: il solo titolo a tener testa allo strapotere di Io sono leggenda è stata infatti questa tenera pellicola realizzata col mix di animazione digitale 3D e attori in carne e ossa. Una scatenata commedia musicale, stile pop, con protagonisti tre scoiattoli canterini. Chipmunk, anzi: così si chiamano i vivaci roditori che popolano i boschi americani (gli stessi, tanto per capirsi, dei disneyani Cip & Ciop).
Nel gigantesco abete, abbattuto per farne l’albero natalizio nell’atrio della casa discografica Jett Records, sono rintanati Alvin, Simon e Theodore. I tre scoiattoli non solo sanno parlare ma perfino cantare. A salvarli dai pericoli della metropoli e a dar loro rifugio, in verità suo malgrado, è Dave Seville (Jason Lee), musicista fallito, in crisi sul lavoro come nel rapporto sentimentale con la bella Claire (Cameron Richardson). Dopo aver stravolto la vita e la casa di Dave, gli scatenati roditori decidono di ripagarlo interpretando una sua canzone. Il brano, col relativo video, scala le classifiche. Le Tv si litigano come ospiti i fantastici scoiattoli. Premi, interviste, denaro, fama, feste. Gli animaletti perdono la bussola assumendo atteggiamenti da star. Fino a quando il boss della casa discografica, accantonato Dave, comincerà a sfruttarli fino all’osso. La scelta sarà tra popolarità e affetti.
Tutto qui? Beh, la storia accattivante e un’animazione mirabolante non sarebbero bastate a scatenare la corsa al botteghino degli americani per vedere Alvin Superstar (45 milioni di dollari incassati nei primi due giorni). Le altre grandi attrattive del film sono le coreografie e le canzoni, alcune popolarissime (come Witch Doctor o Christmas don’t be late). Poi, appunto, c’è l’effetto nostalgia. Alzi la mano chi, ragazzino tra gli anni ’60 e ’90, non ha mai visto il cartone animato Alvin in Tv…
Le avventure del geniale scoiattolino impertinente, vestito sempre in maglione rosso con un’enorme A sul petto, sono diventate un classico. E le canzoni pop del trio la colonna sonora dell’infanzia di tre o quattro generazioni. Nel 1964, a Londra, i Beatles manifestarono pubblicamente la loro passione per Alvin & soci registrando The Chipmunk song. Successivamente diedero a Ross Bagdasarian (il musicista che nel 1958 afferrò l’insperato successo creando le caratteristiche vocine e l’aspetto dei tre scoiattolini) il permesso d’incidere l’album The Chipmunks sing the Beatles hits. Milioni i dischi venduti e poi cartoni animati, libri, spot pubblicitari, gadget: gli incassi multimediali del trio, a partire dal 9 marzo 1959, vengono registrati perfino dal prestigioso Wall Street Journal.
Lo sfacciato, il piccolo e il saggioUn fenomeno mondiale rinverdito da Alvin Superstar, film che sbarca in Europa a 50 anni esatti dalla nascita: «Non ho mai considerato questi personaggi solo come cartoni perché esprimono emozioni reali, universali», spiega Ross Bagdasarian jr., figlio del creatore del trio canterino e oggi produttore della pellicola. «Alvin è sfacciato ma anche vulnerabile. Theodore è il più piccolo, paffuto e goloso. Simon è più grande e perciò più saggio. Facile identificarsi».«Questi però non sono gli scoiattoli dei nostri genitori», sottolinea Tim Hill, già regista del cartoon SpongeBob e del secondo film di Garfield.«I Chipmunk oggi hanno un piglio moderno: esuberanti, divertenti, cantano, ballano. Direi che fanno le popstar… in pelliccia».
Internet non si può più considerare una semplice “rete di reti”, né un agglomerato di siti Web isolati e indipendenti tra loro, bensì la summa delle capacità tecnologiche raggiunte dall’uomo nell’ambito della diffusione dell’informazione e della condivisione del sapere.
Queste le considerazioni alla base del cosiddetto Web 2.0 che, lungi dal rappresentare il culmine dell’evoluzione del mondo Internet negli ultimi dieci anni, è un punto di partenza per nuove metodologie e applicazioni software, all’insegna della condivisione e della collaborazione tra esseri umani.
Il termine “Internet 2.0” o “Web 2.0” (vedi anche su del.icio.us) è quindi l’espressione del dibattito attualmente in corso in merito alle nuove possibilità di fruizione del sapere e delle informazioni offerte dalla Rete. Non è quindi un’evoluzione della tecnologia TCP/IP alla base della Rete, ma dei mezzi e degli strumenti che utilizzano l’infrastruttura tecnologica sulla quale poggia Internet. E’ un nuovo modo di intendere la Rete, che pone al centro i contenuti, le informazioni, l’interazione.Si parla di Internet e non di Web, anche se spesso sono considerati sinonimi, dal momento che oltre ai computer fanno parte della rete globale altre periferiche quali il cellulare, la televisione, la radio, che possono interagire tra loro utilizzando le nuove tecnologie di condivisione del dato digitale.Il concetto di Web 2.0 pone l’accento sulle capacità di condivisione dei dati tra le diverse piattaforme tecnologiche, sia hardware che software. Dietro a queste evoluzioni troviamo tecnologie quali:
il filo conduttore è una nuova filosofia all’insegna della collaborazione. Questo è il Web 2.0, interazione sociale realizzata grazie alla tecnologia.
I servizi e gli strumenti del Web 2.0 trasformano ogni utente da consumatore a partecipante, da utilizzatore passivo ad autore attivo di contenuti, messi a disposizione di chiunque si affacci su Internet, indipendentemente dal dispositivo che utilizza.
Per fare chiarezza su concetti talvolta troppo astratti, facciamo l’esempio di un servizio già esistente di nome “Ringfo” che permette di verificare il costo e i giudizi del pubblico per un libro o un cd venduto su Amazon, semplicemente componendo un numero telefonico e digitando il codice ISBN. Ci risponderà una signorina virtuale, dandoci tutti i dettagli. Il servizio sfrutta la tecnologia e le informazioni residenti in Amazon e le ridistribuisce tramite il cellulare. Le principali tecnologie utilizzate sono le API di Amazon che comunicano tramite interfaccia dati XML con l’applicativo “Ringfo”, che a sua volta utilizza lo standard VXML per dar vita alla signorina virtuale che risponde al telefono.
Un altro esempio della natura multipiattaforma e relazionale del Web 2.0 è rappresentato da “HousingMaps“, che sfrutta due distinte risorse, “Craigslist” e “Google Maps“, per offrire un servizio di ricerca di annunci immobiliari sul territorio americano. La particolarità di questo servizio sta nel visualizzare gli annunci direttamente sulla cartina stradale o satellitare, permettendo di avere subito il dettaglio dell’immobile, con le foto e le informazioni collegate. Le mappe sono caricate sfruttando le API del servizio “Google Maps”, mentre i dati relativi agli annunci sono estrapolati dal database di inserzioni “Craigslist”.
La “Craigslist” si può considerare a pieno titolo un’applicazione Web 2.0 in virtù del metodo di categorizzazione, non più basato sulle directory, ma sulla folksonomy (folks + taxonomy), un sistema di classificazione basato sulle parole (tag) scelte dagli utenti per descrivere un determinato argomento. In concreto, quando una persona vuole aggiungere un contenuto, non decide in quale categoria inserirlo, ma ne dà una o più parola chiave, utili a descriverlo per le future ricerche degli altri utenti. La ricerca avviene scorrendo liste incrociate di link, generate in base alle scelte e agli interventi dei singoli utenti.
Tutte permettono la partecipazione nonché la diffusione di ciò che viene prodotto all’interno delle comunità interattive di fruitori/autori di contenuti.
Le materie e gli argomenti trattati spaziano lungo tutti i campi del sapere, rendendo ogni informazione immediatamente visibile e rielaborabile per qualsiasi media. Può capitare che un articolo apparso su un quotidiano online sia commentato su un blog, per poi essere arricchito dall’aggiunta di contenuti audio e video, essere condiviso all’interno di una comunità, diventando a ogni passaggio sempre più approfondito e “popolare”.
Il fiore all’occhiello del Web 2.0 è senza dubbio il blog, vero e proprio luogo di incontro, discussione e condivisione di argomenti e contenuti, disponibili come testo, immagini, audio e video. L’elemento più innovativo di questo strumento/sito è la tecnologia RSS (Really Simple Syndication), grazie alla quale i contenuti dei feed RSS sono fruibili tramite appositi software che interpretano i file in linguaggio XML, rendendo visibili le informazioni ivi contenute senza bisogno di navigare il blog o il sito che li ha prodotti. E’ anche possibile aggregare più feed, filtrandoli e rielaborandoli, per presentarli su un altro sito Web o su un servizio di news navigabile tramite il cellulare.
La diffusione dell’informazione avviene anche tramite i podcast (file audio) e i vodcast (file video), leggibili da programmi dedicati allo stesso modo dei feed RSS.
Scorrendo l’elenco delle soluzioni Web 2.0 troviamo i wiki, l’espressione più democratica della diffusione della conoscenza attraverso la tecnologia. La logica che muove e sviluppa i wiki è la partecipazione degli utenti a un obiettivo comune, come la realizzazione della più grande enciclopedia mondiale, la “Wikipedia“, o la creazione di un glossario informatico, o di una knowledge base dedicata a un argomento specifico. Il metodo di lavoro è in questo caso l’elemento innovatore; chiunque può aggiungere o modificare il contenuto (testo, immagini e video) presente in un wiki. Ecco perché si può affermare che la partecipazione libera del singolo produce un bene culturale comune, fruibile da tutti gratuitamente.
Non possiamo non menzionare i social network, o reti sociali, che consistono in gruppi di persone, con vincoli familiari e non, con passioni e interessi comuni, intenzionati a condividere pensieri e conoscenze. Si trovano online comunità di persone che condividono i link ai siti che ritengono interessanti, oppure alle proprie foto o video, come anche poesie, o anche resoconti di eventi cui hanno partecipato. Persone che hanno la capacità e la voglia di distribuire contenuti multimediali relativi ai propri interessi. Questi gruppi si rivelano spesso una preziosa fonte di informazioni e al contempo divulgatori specializzati in argomenti di nicchia.
Il feed RSS accomuna tutte le applicazioni sopra citate, perché permette di diffonderne il contenuto con una modalità semplice e immediata. Questa capacita divulgativa può essere applicata a qualsiasi sito voglia informare i propri utenti sulle novità, come avviene per i quotidiani online che diffondono le proprie news, o per i grandi motori di ricerca che informano sui nuovi servizi attivi o in corso d’opera.
Il cuore del Web 2.0 è il contenuto, fruibile in tutte le sue applicazioni multimediali, prodotto dall’interazione delle persone tramite piattaforme ad hoc.
Le applicazioni sono le più disparate, da quelle a scopo commerciale come Amazon a quelle votate alla libera circolazione del pensiero.
Le formule che generano ricavi sono molteplici; le prime soluzioni che vengono in mente sono sicuramente la vendita di pubblicità o di servizi professionali, ma non vanno trascurate la visibilità e la credibilità che un’azienda può acquisire aprendo il proprio blog, o partecipando a comunità di nicchia i cui interessi coincidono con i prodotti offerti. Per non parlare dei vantaggi nel campo delle relazioni pubbliche e della comunicazione d’impresa, il cui principio guida è proprio “lavorare bene e farlo sapere a tutti”. E cosa c’è di meglio di un blog, o un wiki, o una community, per farlo sapere a tutti?
Con lo sviluppo e l’evoluzione dei servizi le opportunità di guadagno cresceranno, offrendo soluzioni orientate a diverse nicchie di mercato. Il solo limite pare proprio essere l’immaginazione
SOCIAL NETWORKING
Una rete sociale (spesso si usa il termine inglese social network) consiste di un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da diversi legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari. Le reti sociali sono spesso usate come base di studi interculturali in sociologia e in antropologia.
Esiste anche l’analisi delle reti sociali, ovvero la mappatura e la misurazione delle reti sociali. Le reti sociali sono studiate con un formalismo matematico usando la teoria dei grafi. Più precisamente, il corpus teorico ed i modelli usati per lo studio delle reti sociali sono compresi nella cosiddetta social network analysis.
La regola dei 150 afferma che le dimensioni di una vera rete sociale sono limitate a circa 150 membri. Questo numero è stato calcolato da studi di sociologia e soprattutto di antropologia, sulla dimensione massima di un villaggio (in termini più attuali meglio definibile come un ecovillaggio). Viene teorizzato nella psicologia evoluzionista che il numero potrebbe essere una specie di limite superiore all’abilità media degli esseri umani di riconoscere dei membri e tenere traccia degli avvenimenti emotivi di tutti i membri di un gruppo. In alternativa potrebbe essere dovuto a una questione economica, e al bisogno di individuare gli “scrocconi”, in quanto gruppi più grandi tendono a facilitare il prosperare di ingannatori e bugiardi. Ad ogni modo, sembrerebbe che il capitale sociale venga massimizzato a queste dimensioni.
Joi Ito suggerisce che il concetto di rete sociale sia cruciale per quella che egli chiama “democrazia emergente” — il collegamento vitale tra la rete creativa di al più una dozzina di persone, le reti di potere create da religione, lingua, tribù e legami di parentela, e le tradizioni etiche ad esse associate. Queste sono da lui viste come l’unico percorso verso una cosiddetta seconda superpotenza.
La versione di Internet delle reti sociali è una delle forme più evolute di comunicazione in rete, ed è anche un tentativo di violare la “regola dei 150”. La rete delle relazioni sociali che ciascuno di noi tesse ogni giorno, in maniera più o meno casuale, nei vari ambiti della nostra vita, si può così “materializzare”, organizzare in una “mappa” consultabile, e arricchire di nuovi contatti.
Il fenomeno delle social network nacque negli Stati Uniti e si è sviluppato attorno a tre grandi filoni tematici: l’ambito professionale, quello dell’amicizia e quello delle relazioni amorose.
Le social network online ebbero un’esplosione nel 2003, grazie alla popolarità di siti web come Friendster, Tribe.net e LinkedIn. Il motore di ricerca Google, ha lanciato Orkut il 22 gennaio2004. Kibop, una social network in spagnolo e portoghese, ha debuttato anch’essa nel 2004. In Italia il primo dei grandi portali passati verso questo tipo di social network è stato superEva, ma sono comunque vivissime le comunità di italiani su Orkut e LinkedIn.
Attualmente, i due social network più gettonati sarebbero Myspace e Facebook, rispettivamente con 107 e 73 milioni di utenti, stando all’articolo “How Netlog Leaps Language Barriers”, pubblicato dal Wall Street Journal il 1 Novembre 2007.
Siti come Facebox, che incoraggiano l’interconnessione di weblog, si avvicinano all’idea di social network. Ulteriori evoluzioni sono date dalle Semantic Social Network, che interconnettono sia persone che weblog, come ad esempio StumbleUpon e Funchain. Si può parlare in questo caso di un ibrido tra un social network e aggregatore, ovvero un sito che permette agli autori di weblog (più comunemente detti blog) di pubblicizzare i propri articoli (o post, utilizzando il termine inglese).
L’uso di reti sociali sta diffondendosi anche come un’evoluzione delle radio on line. I siti non si limitano a proporre musica in formato mp3, ma, interpretano i gusti e propongono musiche simili, facendo scoprire nuovi artisti, musicalità, ritmi. Attraverso siti come Pandora.com, lastfm.it, musicovery.com, è possibile creare delle community invitando i propri amici, ma anche ascoltando la musica proposta per i “vicini”, persone con preferenze simili alle proprie.
Le social network possono essere organizzate anche attorno a modelli di business, come ad esempio nel caso di Ecademy, ReferNet o Shortcut.
Le social network e il community networking stanno generando approcci innovativi al lavoro delle organizzazioni della società civile in direzione di uno sviluppo sostenibile.
Per entrare a far parte di un social network online occorre costruire il proprio profilo personale, partendo da informazioni come il proprio indirizzo email fino ad arrivare agli interessi e alle passioni (utili per le aree “amicizia” e “amore”), alle esperienze di lavoro passate e relative referenze (informazioni necessarie per il profilo “lavoro”).
A questo punto è possibile invitare i propri amici a far parte del proprio network, i qual a loro volta possono fare lo stesso, cosicché ci si trova ad allargare la cerchia di contatti con gli amici degli amici e così via, idealmente fino a comprendere tutta la popolazione del mondo, come prospettato nella teoria dei sei gradi di separazione del sociologo Stanley Milgram (1967), la cui validità anche su Internet è stata recentemente avvalorata dai ricercatori della Columbia University ([1]).
Diventa quindi possibile costituire delle community tematiche in base alle proprie passioni o aree di business, aggregando ad esse altri utenti e stringendo contatti di amicizia o di affari.
(EN) Freeman, L.C. (2004) The Development of Social Network Analysis: A Study in the Sociology of Science. Vancouver: Empirical Press
(EN) Hill, R. and Dunbar, R. 2002. “Social Network Size in Humans.” Human Nature, Vol. 14, No. 1, pp. 53-72. pdf
Mazzoni, E. (2002). “La Social Network Analysis a supporto delle interazioni nelle comunità virtuali per la costruzione di conoscenza” TD, Vol. 35, No. 2, pp. 54-63. pdf
Mazzoni, E. (2007), Reti sociali e reti virtuali: la Social Network Analysis applicata alle interazioni su web. In A. Salvini (a cura di) Analisi delle reti sociali. Teorie, metodi, applicazioni. Franco Angeli Edizioni
(EN) Scott, J. (2000). Social Network Analysis: A Handbook 2nd Ed. Newberry Park, CA: Sage
(EN) Wasserman, S., & Faust, K. (1994). Social Networks Analysis: Methods and Applications. Cambridge: Cambridge University Press
(EN) Wellman, B. and Berkowitz, S.D. (1988). Social Structures: A Network Approach. Cambridge: Cambridge University Press
Salvini, A. (a cura di), Analisi delle reti sociali. Teorie, metodi, applicazioni, FrancoAngeli, Milano, 2007.
Salvini, A., Analisi delle reti sociali. Risorse e meccanismi, PLUS, Pisa, 2005.
Nome: Sofia Villani Scicolone Data e luogo di nascita: 20 Settembre 1934, Roma, Italia
Di famiglia molto povera, Sophia Loren cresce a Pozzuoli insieme alla sorella Maria con la famiglia della bellissima madre Romilda Villani, attrice mancata. Dotata di una prorompente bellezza, la giovane ragazza ottiene una discreta popolarità apparendo in alcuni fotoromanzi con lo pseudonimo di Sofia Lazzaro. Nel 1950 partecipa al concorso di Miss Italia dove riesce ad aggiudicarsi il titolo di Miss Eleganza. Poi intraprende la carriera di fotomodella e a soli diciassette anni incontra a Roma il produttore cinematografico Carlo Ponti, suo futuro marito, che le propone un contratto di sette anni con la Titanus. Nata come attrice dalla schiera delle “maggiorate fisiche”, ottiene il grande successo quando Vittorio De Sica le da l’occasione di manifestare la carica esplosiva del suo temperamento napoletano, affidandole neL’oro di Napoli(1954) il personaggio della “Pizzaiola”. Da allora le sue partecipazioni cinematografiche si fanno sempre più fitte e le danno man mano l’opportunità di dimostrare il suo grande talento, sia drammatico che brillante. Le sue ambizioni di attrice si ritrovano in La ragazza del fiume (1955) di Mario Soldati, un melodramma costruito su misura per esaltarne le (ancora acerbe) risorse drammatiche. Nello stesso anno la simpatica trasteverina diPeccato che sia una canagliadi Alessandro Blasetti e la procace sposina deLa bella mugnaiadi Mario Camerini, ripropongono efficacemente il personaggio della popolana attraente e disinibita che le è più congeniale. In entrambi i film l’attrice è accanto a De Sica e a Marcello Mastroianni con cui negli anni ’60 realizzerà alcuni dei suoi film meno labili. Più sfuocata la sua partecipazione aLa fortuna di essere donna(1955) di Blasetti,Il segno di Venere(1955) ePane, amore e... (1955) di Dino Risi, in cui sostituisce Gina Lollobrigida. Nel 1956 Sophia sbarca a Hollywood e realizza decine di film di successo, tra i quali va certamente ricordatoBlack Orchid(Orchidea nera, 1958), che le fa ottenere la Coppa Volpi. La sua immagine di attrice, in cui un’artefatta sofisticazione sembra destinata a prendere il posto della nativa immediatezza, esce da questa avventura americana davvero consolidata sul piano professionale. Nonostante ora sia stia affermando come sofisticata star internazionale, le sue migliori interpretazioni restano i personaggi spontanei e immediati legati alla regia di De Sica. Quest’ultimo offre a Sophia l’opportunità di raggiunge il momento più alto della sua carriera con l’interpretazione della madre nel filmLa ciociara(1960), straordinaria conferma delle sue qualità drammatiche e delle sue risorse espressive. L’Oscar – che il film le fa guadagnare assieme al Nastro d’argento e al premio per la miglior attrice protagonista al Festival di Cannes – segna la consacrazione di un mito divistico giunto ormai all’apice della parabola. Negli anni successivi recita ancora più volte per De Sica – daBoccaccio ’70(1962) aI sequestrati di Altona(1962), daIeri, oggi e domani(1963) aMatrimonio all’italiana(1964), daI girasoli(1970) aIl viaggio(1974) . confermando il suo istinto di attrice e la particolare sintonia tra interprete e regista, ma senza riuscire a ripetere il miracolo deLa ciociara(1960). La ragazza di Pozzuoli sfoggia il carisma della star internazionale, ma si rivela a lungo andare un’attrice poco capace di approfondire i suoi personaggi e, interpretando un film dietro l’altro, si affida soprattutto alla sua avvenenza fisica e al buon mestiere. Mentre al di qua e al di là dell’Atlantico prosegue la sua carriera contrassegnata da alti cachets e dalle campagne pubblicitarie, la Loren è diventata una protagonista di primo piano dei rotocalchi di tutto il mondo, soprattutto per il suo legame con Carlo Ponti, che, dopo tempestose e complicate vicende (un precedente matrimonio del produttore), ha sposato il 9 aprile 1966, e da cui ha avuto un figlio, Carlo Junior, nel 1968 e un altro, Edoardo, nel 1973. Negli anni ’70 prende parte a film di modesto livello, ma inUna giornata particolare(1977) di Ettore Scola, l’attrice e Marcello Mastroianni disegnano con straordinaria bravura il ritratto d’una coppia di semiemarginati – lei una casalinga, lui un omosessuale – all’epoca del fascismo. Dagli anni ’80, finiti i fasti hollywoodiani del suo periodo aureo (quello legato, inevitabilmente, alla giovinezza e all’età di mezzo), si è parzialmente ritirata dai set cinematografici, dedicandosi prevalentemente alla televisione. Nella sua lunga carriera Sophia ha ricevuto moltissimi riconoscimenti tra cui il premio Oscar alla carriera nel 1991 e il David di Donatello alla carriera nel 1999.
Più che un vero e proprio genere, come potrebbe essere il western o il thriller, il temine indica un felice periodo in cui in Italia venivano prodotte principalmente commedie brillanti, ma con dei contenuti comuni come la satira di costume e l’ambientazione borghese, con una costante sostanziale amarezza di fondo che stempera sempre i contenuti comici.
Il genere della Commedia all’italiana infatti si discosta nettamente dalla normale commedia leggera e disimpegnata e dal filone del cosiddetto neorealismo rosa, in voga fino a tutti gli anni ’50 poiché, partendo dalla lezione del neorealismo, si basa su una scrittura più delineata e realistica; pertanto, accanto alle situazioni comiche e agli intrecci tipici della commedia pura, affianca sempre, con ironia, una pungente e talvolta amara satira di costume, che coinvolge i grandi cambiamenti della società italiana di quegli anni, dal boom economico al mutamento nella mentalità e anche nel costume sessuale degli italiani, dal rapporto con il potere e con la fede, alla ricerca di nuove forme di emancipazione economica e sociale, per arrivare a toccare, negli anni ’70, anche tematiche di attualità più complesse, con opere che finiscono per avere un sottofondo persino drammatico (vedi ad esempio film come “Detenuto in attesa di giudizio” di Nanni Loy o “Un borghese piccolo piccolo” di Mario Monicelli).
Il successo dei film appartenenti al genere commedia all’italiana lo si dovette sia alla presenza di una intera generazione di grandi attori, con la loro capacità di incarnare vizi e virtù degli italiani dell’epoca, sia all’attento lavoro di registi e sceneggiatori, che inventarono un vero e proprio genere, completamente nuovo, riuscendo a trovare prezioso materiale per i loro film fra le pieghe di una società in rapida evoluzione e dalle molte contraddizioni.
Nella schiera dei grandi protagonisti della Commedia all’italiana va senz’altro incluso anche Aldo Fabrizi, che in qualche modo anticipò il genere con alcuni fortunati film dei primi anni ’50, primo fra tutti Guardie e ladri (1951), a fianco di Totò. Anche l’immortale Principe Antonio de Curtis lasciò un segno indelebile nella Commedia all’Italiana con il vasto filone di “Totò e Peppino” in cui appariva come spalla di lusso un altro mostro sacro della comicità napoletana: Peppino De Filippo. I due attori, oltre ad interpretare ruoli di protagonisti in un gran numero di lungometraggi del genere, fecero anche delle indimenticabili apparizioni come ospiti d’onore in alcuni capolavori assoluti del tempo: Totò ad esempio nel già citato I soliti ignoti del 1958 e Peppino de Filippo in Boccaccio ’70 (1962).
La commedia all’italiana fu essenzialmente una creazione di Cinecittà, ambientata molto spesso in ambiente romano, con attori romani o romani d’adozione (ad esempio, Gassman, nato a Genova, si trasferì a Roma giovanissimo, Tognazzi, cremonese, fece i suoi primi passi nell’avanspettacolo nella capitale e, in fondo, anche il napoletanissimo Totò si era andato familiarizzando sempre più con la Città Eterna). Del resto la vita pubblica italiana dell’epoca era prevalentemente accentrata sulla capitale, e anche una grande e operosa città come Milano durante i ’50 e ’60 era più in disparte e veniva percepita più come un luogo di lavoro “serio” che non di avvenimenti mondani. A Roma, invece, furoreggiava la Via Veneto e i suoi caffè frequentati da artisti, attori, avventurieri e un esercito di fotografi (“paparazzi“), i quali resero famosa nel mondo la vita frenetica del bel mondo capitolino.
Alberto Sordi, in particolare, con la sua enorme produzione come attore/produttore/regista in oltre 140 lavori, ha finito per trattare il più vasto ventaglio di personaggi e di tematiche della società del tempo.
Il genere, che ha avuto grande fortuna dalla fine degli anni cinquanta ai primi anni settanta, ha vissuto un declino attorno alla metà degli anni settanta, complice la scomparsa, proprio in quegli anni, dei suoi primi protagonisti (è il caso ad esempio di Vittorio De Sica, Totò, Peppino De Filippo, Pietro Germi, Antonio Pietrangeli) e dell’inevitabile invecchiarsi di tutta la generazione di registi e attori che ne erano stati gli artefici; tutto ciò mentre nel contempo si assisteva ad un progressivo scivolamento della commedia italiana verso un genere più disimpegnato, la cosiddetta commedia sexy, di facile presa sul pubblico, grazie anche alle frequenti scene scollacciate, ma quasi sempre di inferiore livello contenutistico e dove la critica alla società è molto più latente. Ad ogni modo il genere, con i suoi attori più rappresentativi, come Alvaro Vitali, Lino Banfi, Renzo Montagnani, ha ricevuto di recente una sorta di riabilitazione. Tale valorizzazione ha posto in luce come, dietro l’evidente trivialità delle situazioni proposte, sia presente non più una critica alla società ma una sua “messa in scena”, la cruda registrazione di vizi e difetti della borghesia italiana, dove la volontà di denuncia è rimasta soffocata dal malcostume e dall’edonismo in maggior voga: non a caso tali film si collocano tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.
Il genere della Commedia all’italiana in senso lato, sia pure con caratteristiche ormai profondamente diverse da quelle degli anni sessanta-settanta, ha ritrovato un suo spazio nel panorama cinematografico italiano dalla fine degli anni ottanta agli anni 2000, con autori come Roberto Benigni, Carlo Verdone, Massimo Troisi, Francesco Nuti, Paolo Virzì, Silvio Soldini, Leonardo Pieraccioni, Vincenzo Salemme e altri; sono gli eredi ideali del genere cinematografico, anche se per taluni critici la vera e propria “commedia all’italiana” è da considerarsi ormai definitvamente tramontata a metà degli anni settanta, lasciando il posto, tutt’al più, a una “commedia italiana”: eccessive sarebbero le differenze stilistiche tra i vari autori, tali da poter rintracciare una “scuola” comune, e troppo diverse ormai anche le condizioni socio-culturali rispetto alle quali il cinema italiano attuale si confronta.